
“…nel momento della nascita, se si fotografasse lo spazio celeste sovrastante il luogo di nascita di un essere umano e nello stesso istante il suo cervello troveremmo delle corrispondenze: allo stesso modo come sono disposte certe parti del suo cervello, così lo sono le stelle nell’immagine del cielo”.
Rudolf Steiner

I neonati vengono dalle stelle, e sanno tutto. Sanno da chi andare, quando arrivare e come 😉 .
Mete Adahy è nato il 23 aprile 2016 alle h 11.21.
Mete è un nome di origine turca, ci piaceva il suono, è per quello che lo abbiamo scelto e secondariamente per il suo significato, ovvero il coraggioso. Poi beh, abbiamo riflettuto che è anche.. ME, TE…METE… e li abbiamo capito che mai scelta fatta fu più felice. Volevamo anche un nome in onore di Pachamama, che fosse di buon auspicio per lui/lei e che potesse essere un legame con la Madre Terra con la speranza che la portasse sempre dentro di sè, e così se fosse stato maschio avevamo scelto Adahy, un nome dei nativi americani, che significa “Colui che vive negli alberi”.

Non abbiamo voluto sapere il sesso del bambino se non alla nascita, ma io sapevo che era maschio. Matteo aveva in lizza almeno una decina di nomi da femmina. Io ne avevo scelto solo due, ed erano Mete ed Adahy 😉 (le mamme sanno, ahah).
Questa è la creatura che è nata dal nostro amore, attesa con felicità mista a timore, e accolta con estrema gioia.
Mete Adahy è un toro ascendente leone. Il suo tema natale mi piace moltissimo, in esso ritrovo peculiarità che mi affascinano e sono curiosa di vedere se le ritroverò in lui o meno.

Con l’arrivo di Mete sono nati un bambino, una mamma ed un papà.
Di cosa ha bisogno un neonato? Per quella che è la mia esperienza, servono poche, ma fondamentali cose. Di presenza, prima di tutto. Che sembra banale, ma non lo è. Una presenza amorevole, cosciente e consapevole, perchè – lo so che lo dicono tutti- ma devo dirlo anch’io, il tempo vola, è un soffio. Un battito di ciglia e te lo ritrovi che cammina, o quasi. E quei primi giorni, quei primi tempi, sono come lo sbarco su un pianeta sconosciuto, sono come entrare in una foresta pluviale vergine e trovarci poi shangri-la. Sono giorni fatti dal tuo corpo che ti dice HAI DATO LA VITA, e il suo corpo che ti dice IO SONO.

Nulla sarà più la stessa cosa dopo, e per fortuna. Siamo esploratori nella selva della vita, e se volgiamo possiamo trovare tesori.
Prima che nascesse Mete alcune persone mi dissero due frasi che mi colpirono molto, una era “mio figlio è il mio maestro” e l’altra “ mio figlio è il mio specchio”. Oggi capisco che pensavo di aver compreso ma così non era, perchè adesso che Mete è qui comprendo davvero- ed intuisco che capirò ancor meglio strada facendo.

E’ vero, i figli sono i nostri maestri, se sappiamo essere attenti e presenti. I figli ci fanno avere consapevolezza, conoscenza, ci fanno indagare, scoprire, attuare nuove abitudini. E, soprattutto, è verissimo che sono i nostri specchi. I bambini imitano gli adulti, è così che imparano : IMITANDO. Per cui quello che vedo in mio figlio sarà necessariamente il frutto delle mie AZIONI. Uno specchio chiaro, candido e limpido nel quale vedermi da un’altra prospettiva.
Ho desiderato Mete da sempre, oggi lo so. E forse per questo (e magari l’età e l’esser soddisfatta dall’aver fatto tante cose nella mia vita) non mi sono mai sentita privata di qualcosa (ok, forse qualche ora di sonno in più non la disdegnerei), non mi è mai sembrato di fare sacrifici, di rinunciare. Io e Matteo abbiamo deciso che mi sarei occupata di Mete senza il pensiero del lavoro (lavoro come chef free lance e faccio corsi di cucina naturale da 7 anni) e anzi, anche Matteo avrebbe ridotto le ore di lavoro utilizzando le ore di allattamento a cui ha diritto per legge; inoltre appena nato è stato a casa il primo mese di vita. Naturalmente questo ha avuto qualche ripercussione nella sua vita lavorativa, ma semplicemente è una questione di priorità che lui ha potuto e voluto stabilire. Forse penserete che siamo fortunati e che non tutti possono fare queste scelte. Forse si, forse siamo fortunati. O forse abbiamo sempre lavorato e navigato in direzione della vita che volevamo. Forse abbiamo fatto delle rinunce, economiche, lavorative, sociali, in nome di una nostra indipendenza che rispecchiasse chi siamo e ciò che vogliamo.

I neonati parlano una lingua senza parole, fatta di pelle, di sguardi, di odore. I neonati vogliono noi, vogliono essere nutriti con la nostra linfa, vogliono sentire la parte migliore di noi, vogliono abbracci, vogliono essere i nostri pensieri più belli.

“Il bambino chiama la mamma e domanda: “Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?”. La mamma ascolta, piange e sorride mentre stringe al petto il suo bambino: “Eri un desiderio dentro al cuore.”
Rabindranath Tagore
Rainbow Hugs 🌈 05-02-2017