QUELLO CHE NON HO 🌿

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Cosa mi serve per essere felice? È una delle domande della vita.

Enorme.

Restringo un po’ il campo e mi limito a pensare solamente alle cose materiali: appartamento in centro, villa, auto sportiva, moto, barca, nave, jet, bosco, fiume, lago, spiaggia, suv, telescopio, smartphone?

Riformulo: Cosa mi serve quando sono felice? Cos’ho quando sono felice?

Più in generale, sono necessarie le “cose materiali” per essere felice?

La felicità è una condizione speciale, un sentimento complesso composto da speranza, serenità, soddisfazione, appagamento, fiducia, appartenenza: sicuramente gli aspetti spirituali e immateriali giocano un ruolo fondamentale nella creazione e sostentamento di questi stati d’animo.

Paura, insoddisfazione, frustrazione, pessimismo, mancanza, sfiducia, ansia non appartengono alla nostra esperienza di felicità, e anzi ne sono antagonisti. Anche questi stati d’animo dipendono in larga parte dalle “cose immateriali” delle nostre vite.

Si dice che i soldi, intesi come possibilità di ottenere “cose materiali”, non possano comprare tutto, tantomeno la felicità. Lo sappiamo tutti, eppure quasi tutto il mondo si affanna, pare da molto tempo, ad accaparrarsene sempre di più: soldi, potere. Abbiamo un qualcosa dentro che ci incita a volere la casa più grande, la macchina più potente, la moto, l’aereo e milioni di altre cose, sempre più perfette, con qualche accessorio in più, con caratteristiche nuove, all’avanguardia.

Siamo anche costantemente alla ricerca della felicità e quindi deve pur esserci un nesso, un legame anche fra le “cose materiali” e l’essere felici. Io non sono pronta a non avere niente. Mi piace avere una casa luminosa, decentemente pulita e in ordine, avere abbondanza in tavola, ho bisogno di fare qualche viaggio, di creare conoscenze e rapporti anche telefonando o chattando. Sarebbe più triste non poter approfondire e studiare cercando nel web mentre allatto o mi riscaldo sul divano, davanti al fuoco della stufa. E sono felice che la stufa alimenti i caloriferi, di modo da non avere la camera gelata e umida quando vado a dormire. Mi aiuta a essere felice anche potermi fare una doccia calda quando ne sento il bisogno, e adoro sapere che non ho bruciato un grammo di combustibile fossile, perché è stata scaldata dal sole, nei pannelli sul tetto. Senza essere propriamente animista, sono grata alla mia lavatrice, che fa il lavoro sporco per me, e, specialmente valido per i pannolini lavabili, mi permette con poco sforzo di inquinare meno che utilizzando gli usa e getta.

Non sono pronta a vivere come solo settanta o cento anni fa (da noi, in molte parti del mondo è ancora così), con le case umide, buie, fumose, con un pavimento in terra battuta che non si pulisce mai, senza acqua corrente, facendo il bucato al fiume.

Non posso dire che non sarei felice, però credo sarebbe più difficile. Io credo nell’essere umano, nella sua capacità di rendere la vita più facile. Credo nella Natura, ma so per esperienza che è una mamma molto esigente e con delle logiche eterne che sfuggono alla mia comprensione. Vivere completamente nella Natura, rinunciando a tutto ciò che è artificale, è molto faticoso, e in pratica la quasi totalità del tempo, soprattutto se non si è in una comunità sufficientemente ampia e “addestrata”, viene spesa per soddisfare i bisogni primari: acqua, cibo, riparo. C’è poco spazio, paradossalmente, per curare il lato artistico, empatico, intellettivo, spirituale, a me molto caro.

E così, per me, anzitutto le cose materiali devono servirmi per soddisfare facilmente i miei bisogni primari: un spazio pulito e sicuro, sotto un tetto asciutto. Un fuoco che non mi affumichi, per cucinare e scaldarmi. Facile accesso ad acqua idonea per bere, per lavarsi. Aria pulita. Alberi e frutta, una Natura un poco addomesticata come esco dalla porta. Un’auto in grado di portarmi in sicurezza dove mi serve, senza fretta. Una connessione internet, un pc, uno smartphone. Qualche vestito. L’attrezzatura per cucinare, soprattutto quella che mi permette di essere più indipendente come il Froothie, l’essicatore, l’estrattore, la macchina del pane, il frigorifero; ci metto pure zappa, rastrello, pompa, tubi di irrigazione e compostiera, cui devo tanta parte di autonomia e sapore. Libri, cibo per la mente e il cuore, sicuramente. La macchina da cucire, carta e colori, che trasformano le mie idee in qualcosa che posso toccare con mano. La lavatrice.

Potrei, ne sono sicura per esperienza, essere felice anche con la metà di queste cose, ma ora come ora questa è la mia situazione. Tutto il resto sono cose che non ho.

Le ho avute in passato, ne ho avute parecchie di cose che non ho più, e non vorrò avere mai più. Una casa più grande, molti più vestiti, soprattutto scarpe, molti più elettrodomestici, più stoviglie, più oggetti.

La vera svolta è stata cinque anni fa, appena saputo della gravidanza (era quella di Mete) io e Matteo abbiamo deciso: il bambino deve vivere i suoi primi anni il più possibile vicino alla Natura. Eravamo in un paese sul mare, alle porte di Taranto, stavamo in una grande villa con giardino ma abbiamo sentito, ognuno per suo conto e quasi senza parlarci, che non era abbastanza: le strade erano tutte asfaltate, pochi prati, molti muri e recinzioni, vicini troppo vicini.

E così, con una scadenza improrogabile per il trasloco, ci siamo messi a cercare una casa “nella natura”, compatibile con le nostre esigenze lavorative. L’abbiamo trovata in campagna (nessun bosco nella bassa Puglia), una casetta minuscola, poco meno di 40 metri quadri, equivalente ad una stanza della vecchia casa. La prima cosa da fare è stata una selezione di cosa portarsi dietro e cosa eliminare. Il bagno era fuori, dall’altro lato del portico ( ho fatto due gravidenze..immaginate quante uscite notturne per far pipì?), l’acqua calda veniva da un pannello solare condiviso e mal progettato, per cui al mattino raramente c’era acqua calda, se non d’estate. Avevamo due finestre in legno, piccole, di tipo vecchio con vetro sottilissimo, che tintinnava quando passava il treno, a qualche centinaio di metri di distanza. Per scaldare usavamo all’inizio due stufe a legna, poi ne abbiamo aggiunta una terza perché in camera era troppo umido: con stufe così non basta girare un termostato, vanno alimentate spesso. I soffitti erano altissimi in una stanza e bassi, che pareva di star in una cuccetta di nave, nelle altre tre. Il bagno era 4 metri quadri, con una stufa (tutte a legna, risorsa locale, ) sovradimensionata, per cui la temperatura era prossima allo zero prima di accendere e da foresta tropicale una volta accesa dalla stufa. Anche la corrente era condivisa, per cui forno e lavatrice contemporaneamente non era fattibile, bisognava alternare. Fuori erano quasi due ettari di terreno, coltivato a biologico con una punta di biodinamico, c’erano gli orti, qualche olivo, alberi da frutta e un agrumeto. C’era un gelso centenario, bianco, che ci ha sfamato parecchie volte. Prima con in braccio un bambino (e incinta), poi con due bambini: “brucavamo” i gelsi direttamente dai rami per circa un mesetto. Con la casa così piccola e buia abbiamo imparato e apprezzato stare fuori il più possibile, anche con il brutto tempo. La dimensione della casa rendeva veloce mettere a posto e tenere pulito. La disponibilità “a ore” dell’acqua calda rendeva la doccia mattutina non scontata e di diritto, come l’avevo sempre considerata. Era una situazione che non definirei estrema, anche se tanta gente non capiva la nostra scelta, ma sicuramente poco ordinaria. In quella casa siamo stati veramente felici, ri-abituati a “poco”, riuscivamo a gioire di molte “piccolezze”, prima fra tutte quella di costruire un “nido”, piccolo e accogliente, che si è rivelato ben fertile . Un’altra esperienza notevole è stata quella del bagno fuori casa: si poteva passare sotto il portico oppure attraverso il cortile, che era il percorso preferito da Matteo: mi raccontava spesso che alzando la testa e non trovando il soffitto ma il cielo stellato si sentiva meno addomesticato, più coraggioso e indomito; si sentiva chiamare dai suoi sogni.

Con il secondo figlio, Rumi Pachakutek (colui che porta il cambiamento), abbiamo sentito la necessita di avere un posto nostro, indipendente. Abbiamo cercato a lungo, una ricerca estenuante, io avevo appena partorito e ogni giorno vedevamo, tutti e quattro insieme, almeno una casa: significava spendere due-tre ore fra viaggio e visita. Solitamente le ore del pisolino pomeridiano. Fino a che, dopo 6 mesi, è arrivata. È stato un colpo di fulmine, una bella storia che però adesso non è il momento di raccontare.

Era una casa di campagna, circondata da prati, cui abbiamo aggiunto, ristrutturando secondo il piano regolatore (w Rino), qualche metro quadro in più, arrivando a ben 70 metri quadri circa. Ci pareva immensa, e in effetti era il doppio della precedente. Abbiamo mantenuto la stufa a legna, ma l’abbiamo collegata ai termosifoni e al serbatoio dell’acqua calda, per maggior comfort e facilità di esercizio. L’ acqua è scaldata dal sole ma ora l’impianto è adeguatamente progettato e abbiamo acqua calda, gratis, a volontà in estate e in inverno. Le finestre sono semplici in doppio vetro, più che adeguate al nostro clima e ai “rumori” della campagna, senza spifferi e ci sembrano, a tutt’oggi dopo un anno e mezzo, un lusso. Durante la ristrutturazione abbiamo cercato di utilizzare il più possibile materiali naturali e di riutilizzare quello che avevamo a disposizione. Ci siamo portati l’esperienza della casa vecchia, che era un po’ come vivere nel passato, e siamo ritornati nel futuro cercando di utilizzare le risorse e le possibilità con cognizione di causa, con senso di responsabilità. Siamo ben consci che non solo con la nostra fame di cose, ma anche con lo stile di vita più frugale che si possa condurre nei paesi “avanzati”, incidiamo per lo più negativamente sul nostro pianeta, o PachaMama come ci piace chiamarla. Preferiamo e ci impegniamo allora ad acquistare oggetti usati, oppure preferendo prodotti etici e in qualche modo “sostenibili”. Non è ancora sempre possibile e facile ma questa non deve essere una scusa per non provarci, abbiamo  a disposizione potenti strumenti : internet, telefoni, strade, alfabetizzazione, documenti.

Vivere per qualche anno sulla nostra pelle in maniera molto più frugale di quanto eravamo mai stati abituati ci è servito a dare più valore ad alcune “cose materiali”, mentre ha fatto perdere di significato ad altre cose che prima ritenevamo importanti. Come al solito è un percorso che si chiarisce man mano che lo si vive; riteniamo fondamentali gli elementi che ci permettono di condurre una vita dignitosa lasciandoci il tempo per curare la nostra spiritualità ed emotività ed, essendo genitori, è naturale che i nostri figli lo vivano insieme a noi: solitamente non ricevono giocattoli se non ai compleanni e alle feste comandate (scelti con cura e attenzione durante i mesi precedenti l’evento, e collezionati man mano) , ma hanno assai possibilità di stare nel frutteto, giocare con bastoni, terra, alberi, osservare insetti. A noi piace comprare meno, e di qualità ed eticamente, ed utilizzare i soldi “risparmiati” per “avere tempo” di stare fra noi, insieme, senza l’obbligo costante del lavoro (che pure è sacrosanto, ma bisogna chiedersi se ha senso lavorare per pagarsi le spese).

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Una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità
Lev Tolstoj

Quanto più uno vive solo, sul fiume o in aperta campagna, tanto più si rende conto che non c’è nulla di più bello e più grande del compiere gli obblighi della propria vita quotidiana, semplicemente e naturalmente. Dall’erba dei campi alle stelle del cielo, ogni cosa fa proprio questo; c’è tale pace profonda e tale immensa bellezza nella natura, proprio perché nulla cerca di trasgredire i suoi limiti.
Tagore

ps vi suggerisco di leggere Walden, ovvero vita nei boschi. Di Henry David Thoreau

To be Continued ➡️

Rainbow Hugs 🌈 08-05-2020

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